Marchi e operazioni straordinarie

Le operazioni societarie straordinarie sono quelle che modificano la struttura o la forma giuridica dell’impresa. Il nostro ordinamento ne prevede principalmente due: fusione e scissione. In particolare, la seconda è ampiamente diffusa nel settore della moda, come dimostrano – limitandoci al contesto italiano – casi noti come quelli di Valentino o, più recentemente, di Max Mara.

Scopo del presente contributo è porre l’attenzione sulle conseguenze che operazioni di questo tipo possono avere su un elemento cruciale per il mondo della moda: il marchio.

 

FUSIONE
La fusione (merger, nel linguaggio anglosassone) tra società è disciplinata dagli articoli 2501 e seguenti del Codice Civile. Ai sensi dell’articolo 2504-bis, la società incorporante o risultante dalla fusione subentra automaticamente in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi delle società partecipanti. In sintesi, due o più società si uniscono in una nuova entità (c.d. fusione in senso stretto) oppure una società ne incorpora una o più preesistenti (fusione per incorporazione).

Un particolare tipo di  fusione frequentemente utilizzato nella pratica  è l’operazione di Merger Leveraged Buy Out (MLBO) dove a fondersi sono due società delle quali delle quali una sia una società, che normalmente è di nuova costituzione (comunemente chiamata newco o, sia pure meno frequentemente raider) ne acquisisce un’altra denominata target, finanziando l’acquisizione tramite il ricorso all’indebitamento e garantendo il pagamento dei debiti tramite il patrimonio della società risultante dalla fusione, dunque sostanzialmente sfruttando l’effetto di leva finanziaria offerto dalla società da acquisire.

Fino alla Riforma del diritto societario di cui all’art. 6 del D.Lgs. 6/2003 dottrina e giurisprudenza consideravano il MLBO una violazione del divieto, a quell’epoca assoluto, di fornire prestiti e garanzie per l’acquisto di azioni proprie previsto dal Codice Civile. Addirittura la giurisprudenza  penale riteneva che l’operazione di MLBO configurasse una condotta che, in caso di fallimento dell’imprenditore, poteva giustificarne l’imputazione per bancarotta fraudolenta.

 Dopo la Riforma del 2003 tale operazione è lecita, tuttavia:

“La normativa vigente regola dettagliatamente la fattispecie con gli art. 2501 ter, art. 2501 quater, art. 2501 quinquies e art. 2501 sexies, ponendo oneri e condizioni al fine di agevolare l’esercizio del diritto di impugnazione della delibera assembleare che abbia approvato la fusione, e l’esercizio del diritto di opposizione da parte dei creditori sociali”
(Cass. pen. Sez. V, Sent. 28-03-2011, n. 12673).


Le ragioni alla base di una fusione possono essere molteplici: aumentare il valore e la solidità dell’impresa, migliorarne l’efficienza gestionale, facilitare l’accesso a finanziamenti bancari e/o pubblici, oppure espandere la presenza geografica e conquistare nuove quote di mercato.
La fusione, insieme all’acquisizione, rientra nel campo delle cosiddette M&A (Merger and Acquisition), ovvero strategie finalizzate a una forma di “matrimonio” tra società.

La differenza tra le due operazioni è sostanziale: nella fusione si crea o si consolida un’unica entità giuridica; nell’acquisizione, invece, una società assume il controllo dell’altra, ma entrambe continuano a esistere formalmente come soggetti distinti. In quest’ultimo caso, salvo diversi accordi, ogni società mantiene il proprio patrimonio, inclusi i marchi. Al contrario, nella fusione, come già evidenziato, tutti i rapporti giuridici, inclusi i diritti di proprietà industriale come i marchi, confluiscono automaticamente nella società risultante, senza bisogno di stipulare contratti separati.

 Tuttavia, è fondamentale:

  • aggiornare i registri ufficiali (nazionali e internazionali) per garantire certezza verso terzi e continuità operativa; 

  • verificare la presenza di contratti attivi, come licenze, co-branding o franchising, che potrebbero contenere clausole restrittive in caso di fusione;

  • valutare la presenza di marchi simili tra le società partecipanti, per evitare conflitti o sovrapposizioni, e pianificare eventuali razionalizzazioni o operazioni di rebranding.

 In presenza di marchi registrati in giurisdizioni estere, occorre particolare attenzione: non tutte le autorità di proprietà industriale riconoscono automaticamente gli effetti della successione universale, e potrebbero richiedere formalità specifiche per il trasferimento o l’annotazione, secondo la legge locale.

SCISSIONE
La scissione, disciplinata dagli articoli 2506 e seguenti del Codice Civile, consiste nel trasferimento, totale o parziale, del patrimonio di una società (scissa) a favore di una o più società beneficiarie.

  • In caso di scissione totale, la società si estingue senza passare per una fase di liquidazione, e i soci ricevono quote o azioni delle società beneficiarie, secondo il rapporto di cambio indicato nel progetto di scissione.

  • Nella scissione parziale, invece, la società scissa continua a esistere, ma con patrimonio ridotto. A questa riduzione può seguire (ma non necessariamente) una corrispondente riduzione del capitale sociale.

 A differenza della fusione, la scissione non comporta una successione universale automatica: la titolarità dei beni trasferiti, inclusi i marchi, deve essere espressamente indicata nel progetto di scissione, il quale ha valore costitutivo del trasferimento.

 Le sorti del marchio della società scissa possono essere diverse:

  • può essere attribuito interamente a una sola beneficiaria;

  • può essere concesso in licenza a più soggetti;

  • può rimanere alla società originaria, mentre le nuove società operano con marchi distinti o concessi in uso.

 A tal proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che:
Il trasferimento del marchio non implica anche il trasferimento della denominazione sociale, neppure se tra loro interferenti”, in quanto:
Il principio di unitarietà dei segni distintivi non opera ai fini della circolazione degli stessi, ma esclusivamente a tutela del rischio di confusione tra i consumatori, vietando di adottare, in caso di affinità dell’attività o dell’oggetto, come ditta, insegna o denominazione, un segno simile al marchio altrui, anteriormente registrato
(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 26/04/2023, n. 11004).

 L’utilizzo congiunto di un marchio da parte di più soggetti richiede, già in fase progettuale, la stipula di accordi scritti di coesistenza o licenza, con regole chiare su ambiti territoriali, merceologici e comunicativi.
Per evitare contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, è preferibile che tali accordi siano inclusi nel progetto di scissione, e non introdotti in un secondo momento, salvo motivate ragioni economiche.

Ad esempio:
Un’operazione di scissione del ramo di azienda, in cui i marchi (di valore contabile pari a zero alla data di efficacia della scissione) sono stati esclusi dal complesso dei beni trasferiti e, successivamente, ceduti, a valore di mercato, dalla stessa società scissa alla beneficiaria della scissione, è un’operazione, anche se contrattualmente lecita, fiscalmente elusiva, non essendo state esplicitate le ‘valide ragioni economiche’ che dovrebbero giustificare tale operazione
(Cass. civ., Sez. V, Sentenza, 30/10/2018, n. 27544).

 È invece considerata lecita, secondo l’Agenzia delle Entrate, la scissione parziale di asset (tra cui i marchi) a favore del proprio socio unico, se ciò avviene all’interno di un gruppo multinazionale.
(Un esempio recente: Risposta a Interpello 354/2023).

L’assenza o l’incompletezza di tali accordi può generare: conflitti interni tra le società; contestazioni esterne da parte di terzi; rischi di concorrenza sleale o perdita di distintività del marchio.

 Infine, va ricordato che il marchio assegnato deve essere effettivamente utilizzato: il mancato uso entro 5 anni dalla registrazione o l’interruzione dell’uso per oltre 5 anni consecutivi, comporta la decadenza ai sensi dell’art. 24 del Codice della Proprietà Industriale, salvo giustificati motivi.

 
CONCLUSIONI
Nel contesto delle operazioni societarie straordinarie, il marchio, oltre ad essere un diritto da trasferire, è un asseteconomico strategico. Spesso rappresenta una componente di rilievo, in grado di incidere sul prezzo di acquisto, sulla gestione contabile post-operazione, e sulla valutazione dei rami d’azienda in caso di scissione.

Una Due diligence IP completa dovrebbe sempre includere la valutazione del portafoglio marchi; la stima della redditività attuale; l’analisi della forza distintiva, del posizionamento e dei rischi legali.

Il marchio non è un adempimento da gestire a valle dell’operazione, ma un bene immateriale che merita la stessa attenzione riservata agli asset tangibili. Una corretta gestione giuridica, contrattuale e strategica garantisce protezione del valore aziendale; continuità nella percezione del mercato; prevenzione di rischi legali e reputazionali.

 Le azioni operative consigliate sono:

  • Due diligence IP accurata e tempestiva;

  • Riorganizzazione strategica del portafoglio marchi;

  • Formalizzazione degli accordi (licenze, coesistenza, trasferimenti);

  • Allineamento tra funzioni legali, IP e M&A;

  • Aggiornamento dei registri ufficiali e degli strumenti di comunicazione.


NB. I professionisti possono essere contattati congiuntamente alla seguente mail: e.serlengafashionlawitalia@gmail.com

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Il presente articolo è stato redatto in collaborazione con l’Avv. Emmanuele Serlenga, Avvocato Cassazionista del Foro di Torino, con esperienza pluriennale in diritto societario, contrattualistica nazionale e internazionale, e consulenza aziendale. È autore del volume “
La fusione, la scissione e le società estere” (acquistabile cliccando sul link) e ha pubblicato numerosi contributi su riviste giuridiche e in opere collettanee, tra cui il Trattario di diritto civile a cura di P. Cendon (Giuffrè). Relatore in convegni nazionali su tematiche civilistiche e societarie, è membro del dipartimento societario e bancario dell’Associazione Arbitrando.

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Gli autori del presente contributo hanno pubblicato su NT+ Diritto de Il Sole24Ore un articolo dedicato agli effetti che l’istituto della scissione societaria può produrre sui beni immateriali. L’analisi prende le mosse dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 11004, depositata in data 26 aprile 2023.

Stefania Gallo

Stefania Gallo Fashion Law Italia

https://www.fashionlawitalia.com
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